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mercoledì 15 febbraio 2012

SVILUPPO - Come fare di Taranto un "Distretto Culturale"


Per analogia, una città/distretto culturale può essere configurata come uno spazio entro il quale una pluralità di soggetti dotati di risorse ad elevato contenuto estetico, storico, artistico e naturalistico, possono interagire attraverso la forza traente di un “gestore”, pubblico o privato. Quando la forza traente non è quella dell’impresa leader, ma quella dell’ente pubblico (cui è confinato il ruolo istituzionale di attivare i processi di sviluppo culturali), si potrebbe parlare di un contesto territoriale le cui potenzialità culturali ed ambientali, consegnategli dalla storia dell’umanità, possono favorire un’economia “della” e “per” la cultura. Si parla dunque di un’organizzazione e gestione finalizzate alla fruizione dei prodotti culturali, in primis dei cittadini come proprietari dei “diritti di proprietà” dei “valori” del distretto e successivamente dei visitatori occasionali. Il punto focale del processo resta il cittadino che, vivendo all’interno del distretto, si arricchisce del valore che l’opera d’arte e l’insieme dei beni artistico-culturali-paesaggistici sono in grado di restituire in termini di sviluppo “dell’identità” e della creatività. La realizzazione di un distretto culturale è possibile esclusivamente attraverso l’interazione fra le risorse culturali e ambientali e gli attori della filiera: è necessaria la creazione di un sistema economico integrato in cui si producano beni e servizi, favorendo la crescita sociale ed umana. Nel Mezzogiorno d’Italia, in particolare, appare diffusa la carenza e l’instabilità delle competenze organizzative funzionali alla costituzione di un distretto culturale. Com’è possibile governare tale mancanza? Occorre innanzitutto rileggere la logica distrettuale come spazio per la creazione di nuove possibilità d’azione per tutti i soggetti che lo popolano. La situazione economica dell’area in oggetto è forse una delle questioni più urgenti che la nazione dovrebbe affrontare. La carenza di attività economiche e di occupazione in queste aree urbane alimenta non solo il circolo vizioso dell’insufficienza congenita ma anche insidiosi problemi sociali come la criminalità e l’abuso di droga. L’attività economica all’interno e attorno a queste aree potrà radicarsi solo se godrà di un vantaggio competitivo e se occuperà una nicchia di mercato difficile da replicare altrove. Le istituzioni dovrebbero focalizzare la loro attenzione sulla redazione di pratiche di insediamento nelle zone di competenza: una coerente strategia di sviluppo dovrebbe partire da questo fondamentale principio economico. Alcune aree meridionali, come Taranto, si trovano in quelle che dovrebbero essere zone economicamente vantaggiose: si tratta di territori ad alta concentrazione di popolazione, di nodi principali di comunicazione e trasporto nonché di centri turistici e di divertimento principali. La presenza di una popolazione estesa si presenta come palese fonte di risorse: nel Mezzogiorno, dove il problema dominante è quello della disoccupazione, l’obiettivo primo è quello di attuare un rafforzamento della classe lavoratrice sottraendola all’intreccio dominante delle clientele e della malavita. Rafforzare i lavoratori dispersi, organizzarli in forme associative e cooperative, trasformare il lavoro isolato in “piccola impresa completa”, è la premessa di qualsiasi intervento efficace. Al fine di stimolare lo sviluppo economico, l’amministrazione pubblica dovrebbe riconoscere di essere parte integrante del problema. Le sue priorità sono spesso in contrasto con le necessità economiche (come la tendenza a servirsi di organizzazioni locali non profit e semipubbliche per progetti di sviluppo economico). Uno dei modi migliori per incrementare la crescita economica di un contesto territoriale, dovrebbe confluire nel coinvolgimento del settore privato e no profit ma, una delle carenze cruciali del meridione, è proprio la capacità imprenditoriale. Le risorse ora destinate a istituzioni pubbliche potrebbero essere distribuite in modo più efficiente e ricapitalizzate, purché alla ricapitalizzazione partecipino investitori privati. Enti e amministrazioni pubbliche potranno trovare difficile cedere il posto e il controllo accumulati nel passato: politici locali avvezzi a vecchi metodi di organizzazione della comunità e alle politiche conflittuali ormai superate, dovranno praticare vie poco abituali per facilitare la collaborazione fra imprese e residenti. Becattini (1998) sottolinea come, un avanzamento genuinamente produttivo che investa contemporaneamente tutto il Mezzogiorno d’Italia, sia oggettivamente impossibile. Il solo modo realistico di impostare lo sviluppo economico promosso da un piano strategico definito è la creazione di una situazione in cui alcune zone decollino prima, mobilitando le altre. In definitiva si può dire che il distretto culturale istituzionale si caratterizza per la presenza di un ATTORE TRAENTE che interagisce con altri nell’azione organizzativa, allo scopo di creare localmente un tessuto di relazioni professionali. QUALE SARA’ QUESTO ATTORE AT-TRAENTE?! Solo un suggerimento: l’azione necessaria consiste nel connettere l’eterogeneità fondamentale, con esigenze di governo unitario e partecipato. 
di Valentina Castronuovo

Fonti: Becattini G.(1998), Distretti  industriali e made in Italy - Le basi socioculturali del nostro sviluppo economico, Bollati Boringhieri, Torino.


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