Dopo le inchieste su turismo (QUI)
e spettacolo (QUI)
proseguiamo con l’analisi delle opportunità di produrre economie alternative ancora
poco sfruttate dal nostro territorio. Ci occupiamo oggi di lavori pubblici ed
edilizia. Alzi la mano chi non ha mai sentito, da giornali o tv locali,
rivolgere pressanti appelli per l’assegnazione diretta a ditte locali, degli
appalti pubblici per i lavori in Ilva, al porto, per le bonifiche e in Città
vecchia; o richiami all’utilità del project
financing, strumento con cui il privato recupera immobili pubblici in
cambio dell’acquisizione di grosse porzioni degli stessi… Certo la peggior
politica ci ha insegnato come i tormentoni ripetuti all’infinito finiscano per
avere credito su chi li ascolta, ma noi siamo ancora del parere che quanto ci
dicono debba passare dalla testa, senza delegare anche il pensiero. Bene, chi
di noi non vorrebbe che tutti questi lavori, fra finanziamenti reali e solo presunti,
non vadano a finire in mano a dei nostri concittadini? Nessuno, tanto meno noi.
Si tratterebbe di lavoro e denaro per ridare ossigeno alla nostra economia e
alla serenità di tante famiglie. Però, dopo le sollecitazioni di Confindustria
e ANCE (associazione dei costruttori edili) su tutti, ci è sorta una
domanda
semplice, semplice: ma perché negli
appalti pubblici le ditte locali premono per le assegnazioni dirette, le
procedure ristrette o negoziate e, ancor più, per criteri che non sono neppure
contemplati dalle leggi, quali bandi in cui favorire le imprese del territorio?
forse una risposta l’abbiamo trovata spulciando l’elenco degli appalti a
procedura aperta aggiudicati di recente dal Comune di Taranto (li trovi QUI).
Diamoci un’occhiata insieme: per quello relativo alla videosorveglianza del mar Piccolo per il contrasto dei reati ambientali,
del valore di quasi 300.000 euro, ha vinto una ditta di Scafati, ma in graduatoria
ce n’è una di Monza, una di Roma, una di Napoli e poi Barletta, Catania e
ancora della provincia di Napoli. Andiamo avanti. Per l’indagine sulla falda sotterranea dei Tamburi che valeva oltre
100.000 euro ha vinto una ditta di Mesagne. In graduatoria ne figurano una di
Carrara, una di Caserta, una di Matera e poi Torino, Squinzano, Altamura,
Padova, Pisticci, Ferrara, Milano e Rimini. Prendiamo poi la gara per i lavori di caratterizzazione al cimitero di
San Brunone, appalto aggiudicato ad un’impresa di Rimini, seconda una di
Carrara. Vi hanno partecipato ditte di Mesagne, Trento, Agrigento, Pisticci,
Casoria, Firenze, Caserta, Treviso, Mantova e Catania. Venendo al porto, invece, a
dicembre sono stati aggiudicati a una ditta veneta i lavori da quasi 50 milioni di euro, per il consolidamento del molo
polisettoriale. Seconda una ditta barese, terza una campana. Si intravedono ditte locali giusto nell'appalto assegnato appena poche settimane fa dalla Provincia a una ditta bolognese, in merito al II lotto della direttrice Punta Penna-Talsano, per 18 mln di euro. Trentasei ditte propòstesi, di cui tre sono ATI di Massafra, San Giorgio e Taranto. Nessuna di queste ha sfiorato l'aggiudicazione. Bene, ci
fermiamo qui altrimenti nessuno arriverà alla fine di questo post. Avete notato niente? non è che le
imprese di Taranto si sono classificate seconda, terza o quarta, no. Nella stragrande maggioranza dei casi non
figurano affatto! La conclusione di questa nostra indagine è che, quando le procedure sono aperte, le ditte
tarantine letteralmente scompaiono. Accade per gli appalti grossi, come per
quelli piccoli, col settore pubblico e con quello privato, nell’edilizia come
nei servizi. Chi di voi lavori in aziende in cui si procede con appalti aperti
potrà verificarlo da sé. Basterà chiedere da dove vengono le imprese di servizi,
di logistica, di informatica, o quelle di generi di ristoro. Ora, se le nostre
imprese non riescono a partecipare (nemmeno aggiudicarsi) a gare locali,
figuriamoci se possono farlo in quelle nazionali. Gli appalti più grossi poi
richiedono spesso la necessità di sapersi consorziare, anche temporaneamente.
Sappiamo farlo? Cosa manca quindi, coraggio o preparazione? Se fosse la
seconda, potremmo accettare che porto, bonifiche, ambientalizzazione e Città
vecchia finiscano in mani non del tutto affidabili, consolandoci col fatto che
sono però mani tarantine? Ecco, quando
parliamo di città che deve rialzarsi, rimboccarsi le maniche, farsi da sé,
intendiamo che si debba chiudere definitivamente con le ricette fallimentari
del passato: assistenzialismo e scorciatoie. Ci vogliono volontà e dignità
per diventare grandi, a costo di qualche sacrificio iniziale. Infine c’è una domanda
che non possiamo evitare di porci: non è
che per caso Taranto si ritrovi ad attendere il nuovo Piano Regolatore Generale
niente meno che dal 1978 (ripetiamo, millenovecentosettantotto) per non sottrarre la mammella da cui
traggono facile sostentamento i nostri palazzinari poco lungimiranti? d’altra
parte i risultati degli scempi urbanistici compiuti sul territorio sono sotto
gli occhi di tutti. Sarebbe ora di darci un taglio e fare le persone serie, se
vogliamo davvero crescere tutti.