Lo scollamento fra politica
locale e fermento cittadino è sempre più evidente, tanto più se si parla di nuovi
scenari economici. Da una parte un sistema vecchio e corrotto, arrogantemente
ancorato a un modello di sviluppo deleterio e fallimentare, dall’altra una
città che chiede di far rotta verso le sue vere vocazioni naturali. Ne consegue
che lo scontro si acuisca proprio sui temi della cultura e del turismo,
invocati dai tarantini e osteggiati dalle amministrazioni locali. La vicenda
della candidatura territoriale di Taranto a Capitale europea della cultura, ci racconta
di un canovaccio miseramente identico a quello del Borgo antico candidato a Patrimonio
Unesco dell’umanità. Due progetti proposti svogliatamente da un’amministrazione
assolutamente disinteressata e incompetente, priva di un disegno alternativo di
città. Importantissime occasioni di rinascita per un territorio che ne ha tutti
i requisiti, sebbene si preferisca insabbiarli. In entrambe le ‘avventure’ ne
hanno fatto (o ne stanno facendo) le spese la città e i soggetti coinvolti
nella loro realizzazione. Ripercorriamo i due cammini.
“Per Taranto nell’Unesco”.
Il gruppo di lavoro "Per Taranto nell’Unesco" è stato istituito
con determina n.170 dalla Direzione Urbanistica Edilità Risanamento Città
Vecchia il 4 ottobre del 2011.
Da un lato, personalità ed enti inclusi ad “honoris causa” nei processi di
studio e documentazione necessari ad istruire la candidatura. Dall’altro,
professionisti scelti con bando di evidenza pubblica sulla
base delle
esperienze già accumulate e delle competenze certificate dai
curricula, unitamente a quelli che il bando ha reclutato, forse troppo genericamente, come 'appassionati'. Una squadra comunque ben assortita, tra architetti, archeologi, storici,
progettisti: professionisti affiancati da conclamate intelligenze
dall’importante curriculum accademico come i rappresentanti delle
soprintendenze ai beni archeologici della Puglia e ai beni architettonici e
monumentali. Affiancati si, ma solo su carta. I nostri rappresentanti dalla
conclamata esperienza accademica, infatti, hanno garantito la loro presenza e
partecipazione solo durante la conferenza stampa di presentazione del progetto,
seguita da un pranzo offerto dalla pubblica amministrazione per festeggiare l’evento.
Da quel momento, mai più un contatto, mai più una forma di partecipazione, se
non quella richiesta molteplici volte dagli altri componenti della commissione per il reperimento del
materiale utile all’impresa: anche in questo caso, tempi biblici per
documenti a portata di mano. I professionisti (i semplici mortali per intenderci), invece, hanno lavorato
per ben due anni su ricerche, progettazioni e “cambi di rotte” per seguire al
meglio il percorso non facile di candidatura. Il tutto a costo zero per la
pubblica amministrazione che ha riconosciuto un contributo spese (una tantum)
di euro 300 (dai quali devono essere detratte le spese del bonifico a carico
del professionista, ovviamente) all’intera commissione, dunque anche alle menti
illustri entrate di diritto. Poi, il cambio di assessore al borgo antico,
l’istituzione degli assessorati brevi (un assessorato della durata di 6 mesi
non basta a rendere continuativa anche solo una della azioni intraprese) e il
lento e discontinuo boicottaggio di una commissione che non riceve più notizie sul
da farsi da mesi. Che fine hanno fatto le buone intenzioni della pubblica amministrazione?
Che fine farà il lavoro svolto e il materiale prodotto dalla commissione (operativa) in tutto questo tempo? Di sicuro, le nostre istituzioni lo conserveranno gelosamente…si, in un cassetto.
Taranto capitale
della Cultura 2019. Non tutti sanno che il progetto, ora definito
improbabile, era stato caldeggiato all’amministrazione comunale ben due anni fa
dall’associazione Eutaca. Cioè quando c’era tutto il tempo di programmarla per
bene. Ne seguì una delibera che andò a scaldare i cassetti degli uffici
comunali per oltre seicento giorni. Poi ci è voluto il sindaco di Bari,
Emiliano, pur coi suoi possibili ma leciti ritorni, per farla tirar fuori e
costringere Stefàno ad aderire al programma congiunto. Più per imbarazzo che
per convinzione. Da allora, la folle e improvvisata corsa di associazioni,
cittadini e comitato promotore. Senza un euro, senza legittimazione formale e
senza il benché minimo sostegno della Giunta. Un peccato perché, a volte, avere
pochi quattrini in tasca, costringe ad ingegnarsi e dà l’imperdibile opportunità
di allontanare gli avvoltoi. Sostegno e dedizione, però, non possono mancare. Con il
primo si può provare ad attrarre investitori privati, magari sedotti
dall’energia di una comunità in cerca di riscatto e che è sulla bocca di tutta
Europa; con la seconda si può provare a intercettare fondi comunitari. Ma
niente. Non una parola, non un soldo bucato e neppure una stanza e un telefono.
La città che sta inseguendo questa follìa fra entusiasmo e frustrazione,
avrebbe tutto il desiderio di scavalcare la politica per andarsi a prendere
questo sogno, ma da sola non può farlo e forse non ce la farà. Però deve
prepararsi a gestire il dopo nomina, senza consentire che questa energia vada
perduta. Magari tenendo serrate le fila per tornare a pretendere, con forza, la
ripresa della candidatura dell’Isola a bene Unesco, riconoscimento indelebile
per l’immagine della città. Gli altri, tutti gli altri, non attacchino chi ci
prova, non sarà mai motivo di pentimento, come invece può esserlo la resa
aprioristica. Sono cammini in grado di arricchire in consapevolezza e senso
comunitario, sempre. E non pensino neppure per un istante che Taranto e il suo
territorio non possano ambire a traguardi importanti. La materia prima c’è,
sono le persone che devono fare la differenza. C’è anche la brutta cartolina
dell’inquinamento, ma qui non si tratta di mettere la polvere rossa sotto al
tappeto, ma di coltivare alternative. Per dare potere contrattuale a una città
che vuole ricollocarsi altrove. Da padrona e non da schiava.
di Valentina Castronuovo e Massimo Ruggieri