Il prof. Emanuele Greco.
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Targato TA torna a occuparsi di archeologia e lo fa contattando uno dei
più insigni studiosi della materia, il professor Emanuele Greco. Con la
consueta formula delle “tre domande” gli abbiamo chiesto delle potenzialità
ancora inespresse della ricerca in città e del ruolo che può svolgere il Museo
Nazionale, anche alla luce della recente riforma del MiBACT.
Tarantino, formatosi fra Bari, Roma e Heidelberg, Emanuele Greco ha
insegnato nelle Università di Salerno e Napoli. Durante la sua attività
accademica si è dedicato soprattutto ai temi della topografia e dell’urbanistica
nel mondo greco, pubblicando numerosi studi sulla colonizzazione in Occidente. Ha
condotto importanti missioni di scavo a Sibari, Poseidonia, Laos ed avviato un
programma di ricerca proprio su Sparta, madrepatria di Taranto.
Dal 2000 dirige la prestigiosa Scuola Archeologica Italiana di Atene.
Professor Greco, Lei
vanta una lunga attività di ricerca sul campo, sia in Italia che in Grecia. In
una città come Taranto, nella quale le esigenze della vita urbana contemporanea
devono per forza di cose convivere con quelle dell’archeologia, gli interventi
sul territorio si limitano da sempre ai soli scavi preventivi o “di emergenza”,
in relazione ai tanti cantieri edili. Le note ristrettezze economiche cui sono
costretti gli enti di tutela, nonché l’assenza di radicate istituzioni
universitarie, impediscono per il momento il varo di una vera programmazione,
finalizzata, per quanto possibile, alla comprensione della realtà urbana antica
nel suo complesso. Eppure Taranto può ancora offrire occasioni di non poco
conto, potenzialmente utili non solo alla ricerca scientifica ma anche al
recupero di interessanti monumenti da visitare. Da Villa Peripato all’ex
mercato coperto, passando per i giardini dell’ospedale militare fino alle aree
extraurbane di Satùro e della chora, quali potrebbero essere a suo
avviso le priorità e che strumenti sarebbe utile adottare affinché agli scavi
faccia poi seguito un non meno importante piano di gestione e fruizione?
R/ Le rispondo con il richiamo alla memoria di
un episodio da me vissuto oltre 20 anni fa. A quel tempo il mio caro amico Ezio
Stefàno era senatore e si fece promotore di un disegno di legge che, sulla
falsa riga di quello di Roma Capitale, prevedeva un forte stanziamento a favore
dell’archeologia tarantina. Ezio venne con Lucio Pierri (entrambi con me ex
alunni dell’Archita) a trovarmi a Paestum e ne parlammo a lungo. La concordia
era totale nell’individuare come area da esplorare in via prioritaria tutta la
fascia nord della città, quella che affaccia sul Mar Piccolo e che è occupata
dalle installazioni della Marina: si tratta di 70 ettari di città antica, un
autentico polmone nel quale potrebbero convivere cultura e verde, due valori
oggi latitanti. Naturalmente sarebbe un progetto da realizzare in tempi
abbastanza lunghi ma non biblici. A parte le emergenze oggi regolabili con la
legge sull’archeologia preventiva sarebbe questo un raro straordinario caso di
scavo programmato in una città moderna con tanto di passato, come si vede solo
a Roma.
I giardini dell’ex Villa
Capecelatro, ora all’interno dell’ospedale militare. |
La prossima
inaugurazione degli spazi al secondo piano del Museo Nazionale, prevista per il
mese di aprile, riconsegnerà al patrimonio della Nazione una delle raccolte
archeologiche più rilevanti, dopo lunghi anni di interminabili cantieri ed
aperture parziali. Conclusasi questa impegnativa fase, è necessario adesso uno
sforzo ulteriore affinché la straordinaria istituzione museale possa registrare
numeri adeguati alla sua importanza, in termini di visitatori. Ritiene che la
Fondazione “Taranto e la Magna Grecia”, della quale è stato presidente, possa
svolgere un ruolo in tal senso?
R/ Mi sono dimesso dalla presidenza della
Fondazione innanzitutto per rispetto della istituzione quando ho verificato due
cose: la difficoltà a dirigere nello stesso tempo la Scuola Archeologica
Italiana di Atene e la Fondazione Taranto per ovvi problemi logistici e poi
quando mi sono reso conto che era molto difficile attuare quel programma da me
vagheggiato (si tratta veramente di un sogno!) cioè avere unità di intenti tra
la Fondazione e l’istituto Magna Grecia, che versa in difficoltà estreme, che a
stento riesce ad organizzare i Convegni, ma che rimane arroccato in una
politica tradizionale che dopo oltre mezzo secolo ha bisogno di rinnovamento.
Quanto al Museo se leggete bene la legge la funzione di rilancio sarà affidata
a manager che devono far fruttare il bene. Il ruolo delle istituzioni culturali
che lei sollecita sarebbe quello di non ridurre tutto solo al guadagno
(esecrabile come dicevano gli Antichi) ma di affiancare all’utile anche
autentici valori culturali. Il Museo non deve esibire pezzi belli, deve
raccontare storie. Anni fa avevo proposto di realizzare qualcosa che in Italia
non esisteva, il Museo della Storia della Città (oggi esiste solo a Bologna).
Ma mi scontrai con un ottuso funzionario, la cui scempiaggine è ben nota a
tutti.
La recente riforma del
Ministero, ancora da valutare nella sua reale portata, inserisce il MArTa fra i
venti musei italiani dotati di autonomia contabile ed amministrativa. Un
riconoscimento importante, destinato a caricare di responsabilità ulteriori una
istituzione verso la quale l’opinione pubblica guarda con sempre maggiore
interesse come ad un possibile volano per la rinascita e la riconversione della
città in chiave culturale e turistica. Dal suo punto di osservazione
“privilegiato”, sebbene esterno, giudica positivamente queste novità?
R/ La riforma Franceschini produce una vera
rivoluzione copernicana: possiede molti elementi positivi ma ingenera nel
contempo qualche perplessità (la separazione dei Musei dalle Soprintendenze, in
Italia difficile da immaginare per evidenti ragioni storiche). Comunque è bene
che la riforma parta; rimandiamo il giudizio, vediamo in pratica quali effetti
produrrà. Che il Museo sia qualcosa su cui puntare è fuori di dubbio, ma
bisogna metterlo in sintonia con i desideri e le pulsioni del pubblico, che
mutano velocemente. Nella civiltà delle immagini e del virtuale il Museo non è
più una esibizione di oggetti destinata alla borghesia colta, con didascalie a
volte difficili ad essere comprese in mancanza di una cultura specifica, ma
deve mettere tutto il
pubblico, in quella condizione di benessere intellettuale prodotto
dall’arricchimento culturale che prova uscendo dal Museo chi è contento di aver
appreso qualcosa che non conosceva prima, e di aver capito.